LETTERA AL PADRE

Tu eri per me la misura di tutte le cose

Franz Kafka

Carissimo padre, di recente mi hai domandato perché mai sostengo di avere paura di te. Come al solito, non ho saputo risponderti niente, in parte proprio per la paura che ho di te, in parte perché questa paura si fonda su una quantità tale di dettagli che parlando non saprei coordinarli neppure passabilmente […]

Riassumendo il tuo giudizio su di me, ne emerge che non mi rimproveri, a dire il vero, qualcosa di davvero sconveniente o malvagio, ma freddezza, distanza, ingratitudine. E me lo rimproveri come se fosse colpa mia, come se con una bella sterzata io fossi stato in grado di indirizzare diversamente il tutto, mentre tu non ne hai la minima colpa, se non forse quella di essere stato troppo buono con me. Trovo questa tua interpretazione esatta soltanto nel senso che anch’io credo che tu non abbia colpa alcuna del nostro allontanamento. Ma non ne ho colpa neppure io. Se potessi portarti a riconoscere questo, allora sarebbe possibile – non una nuova vita, per questo siamo entrambi troppo vecchi – ma una certa pace, non una cessazione, ma un’attenuazione dei tuoi incessanti rimproveri.

Inizia così la lunghissima lettera, oltre 45 pagine, che Franz Kafka scrive al padre.

Una lettera che sarà una terribile liberazione ed insieme una giustificazione disperata ma che rimarrà nel cassetto, che non giungerà mai al padre e che sarà custodita dalla madre, protettrice sì dei figli e intermediaria tra loro e il padre, ma in definitiva sempre dalla parte del marito (secondo il “sentire” dell’autore).

Una lettera scritta da un uomo di 36 anni, non da un bambino o da un adolescente spaesato di fronte a quel che sarà.

Eppure, la paura di come il padre avrebbe potuto reagire, la  possibile reazione negativa da parte del padre sempre pieno di certezze, la considerazione che avrebbe alimentato nuove polemiche, l’aver lanciato al padre accuse di enorme gravità, seppur mettendone in luce i lati positivi sottolineando, invece, i lati negativi di sé stesso, hanno fatto sì, forse, che quella lettera rimanesse nel cassetto.

Come molti rapporti padre e figlio, si tratta di rapporti scanditi dall’incomunicabilità, dai sensi di colpa, dall’inadeguatezza, dalla rabbia e dalle frustrazioni.

Padre e figlio giocano il loro ruolo cercando di invadere il campo avversario, magari scorrettamente e con tutto il dolore possibile.

Una lotta fra quello che si dovrebbe essere e quello che non si è. Fra quello che si vorrebbe essere e non si è.

E così ci chiediamo:

  • Qual’ è il prezzo da pagare nell’esser padri?
  • Quanto quello nell’esser figli?
  • Quanto sappiamo veramente della vita di nostro padre?
  • Quanto grande può essere il senso di colpa (per entrambi)?
  • Quante volte abbiamo giudicato e quante siamo stati giudicati?
  • Quante volte non ci si sente all’altezza?
  • Quante volte cerchiamo quelle carezze che pensiamo di meritare?
  • E quante volte ci siamo chiesti come abbiamo fatto ad arrivare a tanto?

Domande che hanno un peso rilevante nella nostra vita e che le risposte, se cercate e trovate, potrebbero alleviare.

Di seguito, un estratto illuminante su quello che viene definito il “marchio di somiglianza” . Tratto dalla recensione al libro a cura di Sara Annichiarico.

“Eppure, è anche la luce che lo attrae, contro cui lotta: una luce che acceca tutti i figli, tutti i padri – tutti gli amori che non pensiamo di meritare. E ci illumina. Cerchiamo di correre, di scriverne per lasciarlo scivolare via questo marchio della somiglianza, ma il momento della fermata arriva, prima o poi. Abbiamo bisogno di una lettera al padre, alla madre, a chi perdiamo o teniamo accanto…un foglio bianco per perdonarci la delusione degli altri. Un foglio scarabocchiato per guardare – una volta almeno, col DNA imperfetto – noi stessi”

Ed infine, La lettera si conclude con queste parole:

Naturalmente nella realtà le cose non possono essere calzanti come gli esempi della mia lettera, la vita è più che un gioco di pazienza; […] si è secondo me raggiunto un qualcosa di così vicino alla verità che un pochettino può tranquillizzarci entrambi e renderci più facile il vivere e il morire.

Così, ora, vi suggeriamo ed esortiamo a non lasciare lettere nel cassetto!

Kafka bambino. Pieno di speranze. Come farà a non deludere il padre?